Dall’economia di ripartenza a quella di sopravvivenza

Man on a wire – Photo by GJones94 (from Flickr)

In un precedente contributo avevo trattato il tema della Reboot economy, ossia il ripensamento dei modelli di business alla luce dei cambiamenti imposti alla gestione aziendale dalla pandemia da coronavirus, finalizzato a dare continuità all’attività di impresa.

Dopo una tregua di pochi mesi, i recenti provvedimenti governativi hanno previsto la suddivisione dell’Italia in zone differenziate sulla base del maggiore o minore rischio di contagio, nonché l’avvio di nuove procedure di lockdown, ossia di stop forzato delle attività economiche.

Alla luce di ciò, si impone nuovamente una riflessione su come affrontare il futuro, che tenga conto delle nuove e ulteriori perdite che le aziende dovranno sopportare a causa dei mancati ricavi derivanti da una chiusura imposta dal rafforzarsi dei contagi.

Nel presente scritto si vogliono sinteticamente riepilogare quelle che dovranno essere le prossime mosse degli imprenditori e dei loro consulenti al fine di verificare la sostenibilità, soprattutto sul piano finanziario, dell’auspicata continuazione dell’attività. Quali saranno, dunque, i passi da seguire?

In primo luogo, andrà fatta un’accurata valutazione di tutti gli aiuti pubblici spettanti alle imprese; il che significherà verificare l’ammissibilità ai vari contributi a fondo perduto, erogati in denaro o sotto forma di crediti d’imposta, nonché utilizzare tutte le normative di favore finalizzate al contenimento delle perdite di esercizio, quali ad esempio la sospensione degli ammortamenti per il periodo 2020, la rivalutazione dei beni aziendali (necessaria a far emergere le plusvalenze latenti in bilancio, rafforzando così il patrimonio netto), la non applicazione della postergazione ai finanziamenti erogati dai soci durante lo stato di emergenza.

In secondo luogo, andranno eliminate tutte le previsioni di spesa che si riveleranno non necessarie o indifferibili e bisognerà far ricorso a tutte le moratorie possibili sul piano finanziario, non solo con riferimento a quelle specificamente introdotte in considerazione dell’emergenza sanitaria (il cui termine è attualmente previsto al 31 gennaio 2021), ma anche a quelle “a regime”, previste dagli accordi per il credito, consistenti nella possibilità di sospendere per dodici mesi il pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio-lungo termine, nonché di rinegoziare le originarie scadenze del debito. Andranno inoltre valutate eventuali dismissioni di asset non necessari (sempre che esista ancora un mercato per gli stessi) al fine di recuperare liquidità; per  non parlare poi della soppressione delle uscite finanziarie connesse ad investimenti e a business plan già elaborati, ma che potrebbero rivelarsi non più profittevoli o addirittura superati, a csusa della contingenza sfavorevole.

Fatto ciò, si dovrà infine procedere ad una attenta e minuziosa valutazione delle esigenze finanziarie aziendali, per verificare se le entrate attese siano sufficienti a coprire le uscite programmate. Andranno in sostanza redatti dei veri propri budget di emergenza finalizzati a calcolare una sorta di break even point, non più economico bensì finanziario; occorre cioè domandarsi fino a che punto l’impresa sia in grado di reggere finanziariamente, soprattutto laddove, effettuato quanto ai punti precedenti, le uscite dovessero ancora sopravanzare le entrate attese, anche in considerazione delle perdite su crediti derivanti dalle probabili insolvenze dei clienti, causate a loro volta dal lockdown. In dettaglio, se da questa analisi dovesse emergere il persistere di eventuali deficit, occorrerà verificare la possibilità, ma soprattutto l’opportunità, di ricorrere alla copertura degli stessi mediante immissione di nuovo capitale di rischio e/o di credito. Particolare attenzione dovrà essere riposta alla cosiddetta “finanza-ponte”, cioè alla sottoscrizione di nuovi debiti bancari di medio-lungo periodo finalizzati a far superare all’impresa il periodo negativo, valutando ovviamente l’effettiva sostenibilità delle nuove esposizioni (ma questo lavoro lo farà per voi già la banca, state tranquilli…).

L’orizzonte temporale di riferimento di questi nuovi budget dovrà necessariamente essere pluriennale, in quanto è facilmente immaginabile che le ripercussioni economiche della pandemia si protrarranno ancora a lungo, per cui anche le relative ricadute finanziarie si manifestaranno non solo nel corrente esercizio ma anche in quelli a venire.

Una volta effettuata la redazione dei suddetti budget, che dovranno valutare differenti scenari e ipotesi (da quella più ottimistica a quella peggiore), avremo la risposta alla domanda che oggi angoscia gli operatori: l’attività economica esercitata è ancora sostenibile? Esiste ancora la continuità aziendale?

Al termine di questo stress test saremo dunque in grado di formulare oggettive ipotesi sulla continuità e sulla possibilità di operare una gestione tranquilla; in caso di risposta negativa, al fine di evitare le conseguenti responsabilità in capo agli organi amministrativi, si dovranno approntare fin da ora gli opportuni rimedi previsti dalla vigente normativa sulla crisi aziendale (accordi di ristrutturazione, piani attestati di risanamento e concordato preventivo) oppure, se più convenienti, quelli previsti dal nuovo codice della crisi, per la cui entrata in vigore, però, bisognerà attendere il 1° settembre 2021.

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