Ultimamente noi commercialisti siamo bombardati, nelle email commerciali e nelle newsletter, da una frase ricorrente: gli effetti della pandemia da COVID 19 sul bilancio 2020.
Ci sarebbe da scrivere e discettare per ore sull’argomento, poiché non v’è dubbio che le misure messe in atto, sia a livello istituzionale, sia a livello di operatività aziendale, abbiano avuto riflessi su molteplici aree del bilancio: sicuramente su quella del conto economico, laddove alcune imprese hanno subito la contrazione dei ricavi mentre altri hanno mantenuto o addirittura incrementato i livelli di fatturato; sul piano dei costi, invece, un’area critica è sicuramente costituita, ad esempio, dai costi del personale: al mantenimento dei livelli occupazionali, coadiuvato dalle misure straordinarie messe in campo dal Governo, spesso ha fatto seguito, per le aziende, l’appesantimento della gestione nel momento in cui dette misure sono venute meno, a causa dei cali di fatturato connessi ad un business che non ripartiva. Altre imprese, invece, hanno assunto nuovo personale proprio sulla scorta degli incrementi di fatturato indotti dalla pandemia (si pensi al settore sanitario, per esempio). In generale, in un modo o nell’altro, è innegabile che la pandemia avrà impatto sull’ultima voce del conto economico: l’utile d’esercizio.
Quelle che seguono, tuttavia, sono riflessioni su quelli che, a parere dello scrivente, saranno gli impatti sulle aree di bilancio maggiormente significative sul piano finanziario, nell’ottica di analisi di un’azienda la cui attività è andata in difficoltà a causa della pandemia.
E si comincia con il concetto di continuità aziendale.
Il decreto “Liquidità” ha modificato, per il periodo dell’emergenza epidemiologica, i criteri di redazione del bilancio a tal riguardo; in sintesi, in base a tale norma, la continuità aziendale (per i soggetti “solari”) verrà valutata come sussistente al 31/12/2020 se essa risulta già dal bilancio di esercizio chiuso al 31/12/2019. In altre parole, la ratio di tale norma è quella di specificare che la pandemia da COVID ha prodotto una situazione di eccezionalità talmente generalizzata che i suoi impatti negativi sulla gestione aziendale non possono essere considerati causa del venir meno della continuità aziendale. Ciò, tuttavia, a condizione che la continuità stessa fosse sussistente già prima dell’esplodere della pandemia: è ovvio che di ciò vada data adeguata informativa in nota integrativa. Sul piano dei principi contabili, ciò è espressamente previsto dal documento interpretativo n. 6 dell’OIC, in base al quale “la società che si avvale della deroga prevista dalla norma fornisce informazioni della scelta fatta nelle politiche contabili ai sensi del punto 1) dell’articolo 2427 del codice civile”. Nella nota integrativa andranno descritte, inoltre, “le significative incertezze in merito alla capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro relativo a un periodo di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio. Pertanto, nella nota integrativa dovranno essere fornite le informazioni relative ai fattori di rischio, alle assunzioni effettuate e alle incertezze identificate, nonché ai piani aziendali futuri per far fronte a tali rischi ed incertezze. Inoltre, nei casi in cui, nell’arco temporale futuro di riferimento, non si ritenga sussistano ragionevoli alternative alla cessazione dell’attività, nella nota integrativa sono descritte tali circostanze e, per quanto possibile e attendibile, i prevedibili effetti che esse potrebbero produrre sulla situazione patrimoniale ed economica della società”. Si comprende appieno, pertanto, come sia precisa responsabilità della direzione aziendale effettuare l’analisi di break even economico e finanziario già discussa nel precedente contributo, al fine di elaborare oggettive ipotesi sulla continuità aziendale post – COVID; in pratica, la normativa e i principi contabili sembrano voler dire agli amministratori di società: “per quest’anno ti salviamo noi, ma o intraprendi da subito le azioni opportune, oppure chiudi l’attività. Se il tuo business non sta più in piedi, danneggi quelli a cui devi dei soldi”.
Di particolare importanza, poi, sarà l’area del patrimonio netto: quali sono i metodi per irrobustire tale voce di bilancio e renderla meno vulnerabile alle perdite attese dalla situazione contingente?
In primis va valutata l’opportunità di ricorrere ad aumenti di capitale, anche (e soprattutto) per rafforzare la liquidità e reperire capitali che non vadano ad appesantire l’esposizione debitoria, destinata ad assumere una dimensione critica a causa del particolare periodo che stiamo vivendo. Ricordiamo, a tal proposito, che il Decreto “Rilancio” ha previsto, per le società di capitali che abbiano subito nei mesi di marzo e aprile 2020 una riduzione complessiva in misura non inferiore al 33% dell’ammontare dei ricavi rispetto allo stesso periodo del 2019, un bonus a titolo di credito d’imposta pari al 20% in capo ai soci e, in capo all’azienda, del 50% delle perdite eccedenti il 10% del patrimonio netto, calcolato al lordo delle perdite stesse, fino a concorrenza del 30% dell’aumento di capitale per gli aumenti di capitale a pagamento integralmente versati entro il 31.12.2020 e non inferiori a 250.000 euro (per aziende con almeno 5 milioni di euro di fatturato).
Ricordiamo, inoltre, la possibilità di effettuare la rivalutazione dei beni aziendali, anche ai soli fini civilistici e senza che sia obbligatorio il versamento dell’imposta per il relativo riconoscimento fiscale; ne conseguirà, ovviamente, il miglioramento di tutti gli indici patrimoniali esposti nella relazione sulla gestione collegati all’entità del patrimonio netto (sul punto, si rimanda a un precedente contributo).
Ancora, in sede di conversione in legge del Decreto “Agosto” è stata introdotta la possibilità, per i soggetti non IAS, di non effettuare, in tutto o in parte, gli ammortamenti dell’esercizio 2020, allungando pertanto, di diritto, la vita utile dei cespiti. I soggetti che si avvalgono di questa facoltà dovranno tuttavia destinare a una riserva indisponibile gli utili corrispondenti alle quote di ammortamento non effettuate e dovranno dare conto in nota integrativa delle ragioni della deroga, indicando l’importo della riserva indisponibile e l’influenza del mancato ammortamento sulla situazione patrimoniale, finanziaria e sul risultato economico dell’esercizio. Atteso il fatto che, in ogni caso, sarà possibile dedurre fiscalmente gli ammortamenti non esposti in bilancio, si rammenta che l’adozione della misura comporterà altresì, obbligatoriamente, l’esposizione di imposte differite.
E arriviamo all’aspetto più delicato: i debiti.
È ragionevole ipotizzare che il bilancio 2020 delle aziende colpite dalla pandemia sarà caratterizzato da una notevole espansione dell’esposizione debitoria e ciò per un motivo molto semplice: da quando esiste il mondo, un’azienda in crisi di liquidità attinge, nell’ordine, alle seguenti fonti:
– aumento dell’indebitamento bancario (favorito, nel caso specifico, dalle moratorie bancarie e dall’ottenimento di nuova finanza in seguito alle misure del Decreto “Liquidità”); finché l’azienda è valutata come solvibile, le banche erogano credito;
– aumento dell’indebitamento fiscale e contributivo (quando le banche non danno più soldi, si tende a ritardare i pagamenti ai soggetti più “pazienti”);
– aumento o stagnazione dell’indebitamento verso i fornitori, per il rinvio o riscadenzamento (“autorizzato” o per libera iniziativa dell’imprenditore) dei pagamenti;
– aumento dell’indebitamento verso il personale dipendente.
Dalla lettura di quanto precede, nell’ottica del monitoraggio della continuità aziendale, al fine di fare emergere tempestivamente situazioni di potenziale criticità, è immediato comprendere che il debito di natura finanziaria non dovrà eccedere i limiti “fisiologici”; infatti, l’aumento progressivo delle altre voci debitorie, come detto, si ha quando le banche non erogano più credito, ed è indice progressivo del grado di decozione aziendale.
Come monitorare correttamente, dunque, il debito finanziario? Il primo passo da compiere è quello di riclassificare lo stato patrimoniale con criteri funzionali, ossia distinguendo le voci correnti da quelle non correnti (e non dunque, paradossalmente, con criteri finanziari, ossia in base al grado di liquidità o esigibilità crescente); in tal modo sarà possibile calcolare il dato principale di riferimento: la posizione finanziaria netta (vedi Il Valore della professione nn. 53/54).
È inoltre buona prassi effettuare altresì la riclassificazione a valore aggiunto del conto economico, per calcolare l’EBITDA.
Fatto ciò, occorre procedere, quantomeno, al calcolo di due indici fondamentali:
- PFN/E o Debt Equity Ratio, che mette a confronto la PFN (nella sua accezione “allargata”, che include anche i debiti per leasing) con il valore del patrimonio netto; al crescere dell’indice peggiora la solidità aziendale;
- PFN/EBITDA, che ci mette in condizione di valutare la sostenibilità del debito in base al cash flow lordo prodotto dalla gestione aziendale. Più questo valore risulta contenuto, più i flussi di cassa saranno in grado di ripagare il capitale preso a prestito.
In conclusione, il bilancio 2020 dovrà essere caratterizzato da un livello di informativa finanziaria più elevato del solito; occorre da subito prenderne atto e tenersi pronti ad affrontare consapevolmente la redazione dei relativi documenti.