Debito? Sì, ma quanto?

“Sad emoticon”, from pdpics.com

Come ben sappiamo, le piccole e le micro imprese italiane sono caratterizzate, dal punto di vista della struttura finanziaria, da un limitato apporto di capitale da parte dei soci o del singolo imprenditore e da un più significativo ricorso al finanziamento bancario. È infatti arcinoto che le compagini societarie che caratterizzano la maggioranza delle imprese nazionali siano costituite da nuclei ristretti composti da persone legate da vincoli familiari o di amicizia o altre volte addirittura anche da un solo imprenditore. La necessaria conseguenza è la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili per l’investimento in azienda; ciò rende le piccole e le micro imprese italiane sovente sottocapitalizzate ed esposte alla necessità di richiedere finanziamenti al sistema creditizio.

Ebbene, il ricorso all’indebitamento presenta dei vantaggi e degli svantaggi; volendo sintetizzare, a tal riguardo possiamo riassumerli come segue.

PRO

  • possibilità di pianificare il rientro del debito a medio-lungo termine, attraverso dei piani di ammortamento, ossia dei calendari riportanti le scadenze dei termini di restituzione di capitale e interessi; per quanto riguarda invece i finanziamenti di breve termine per lo smobilizzo dei crediti commerciali, i tempi della restituzione sono legati alla scadenza dei medesimi crediti;
  • scudo fiscale del debito: gli interessi passivi sui debiti finanziari sono deducibili fiscalmente nei limiti dell’articolo 96 del TUIR; il pagamento degli interessi passivi, dunque, apporta all’azienda un risparmio di imposta pari, in misura percentuale, all’aliquota di tassazione del reddito imponibile;

CONTRO

  • il ricorso sistematico alla leva finanziaria (cioè al finanziamento della gestione prevalentemente mediante indebitamento) comporta la dipendenza dal sistema bancario, con i conseguenti vincoli di operatività dettati dall’obbligo di restituzione del finanziamento ottenuto;
  • rischio della leva finanziaria: come noto, è dimostrabile matematicamente che se il ROI dell’investimento supera il costo medio degli interessi passivi sul debito, è conveniente finanziare l’azienda mediante indebitamento piuttosto che mediante capitale proprio, perché ciò determina un effetto moltiplicativo sul ROE; discorso diverso e diametralmente opposto avviene quando, invece, il ROI non batte più il benchmark del tasso medio degli interessi passivi, perché il suddetto effetto moltiplicativo funziona alla rovescia, rendendo l’impresa più rischiosa e finanziariamente meno solida, tendenzialmente instradata verso il default.

È spontaneo, a tal punto, domandarsi: esiste un modo per determinare, sinteticamente, l’entità del debito finanziario tollerabile da un’azienda?

La risposta è sì. E ciò sia con riguardo alla capacità di remunerare il costo del debito, cioè gli interessi passivi, sia con riguardo alla capacità di restituire il finanziamento ottenuto. Vediamone rapidamente i dettagli

  1. Rapporto MOL/OF: rappresenta il confronto tra il margine operativo lordo, indicatore sintetico del flusso di cassa rinveniente dalla gestione operativa, e il totale degli interessi passivi derivanti dai debiti finanziari.

Qual è il target di questo indice? Il totale dell’autofinanziamento deve essere almeno doppio rispetto all’onere del debito. In altre parole, se il peso degli interessi supera la metà della capacità aziendale di autofinanziarsi, significa, appunto, che oltre la metà dei flussi di cassa aziendali saranno destinati al pagamento degli interessi passivi. E gli altri costi? Come verranno coperti? Saranno sufficientemente bassi da far sì che il flusso di cassa residuo possa portare almeno al punto di pareggio finanziario? La banca, in sintesi, si preoccupa della capacità del cliente di remunerarla nell’ambito del più vasto contesto dei costi che questo dovrà sostenere. Nella prassi aziendalistica, la soglia di sicurezza è fissata in un valore superiore a 2,5; la soglia di tranquillità è fissata in un valore superiore a 5.

2. DSCR: abbiamo già visto questo indice in un precedente intervento. Nella sua formulazione più semplice e immediata, esprime il rapporto tra il flusso di cassa operativo, necessario a ripagare il debito, e gli importi delle rate di finanziamento e di leasing derivanti dagli impegni finanziari a medio lungo termine:

Flusso di cassa operativo/totale rate di finanziamento e leasing dell’anno

Nella prassi aziendalistica, la soglia di sicurezza è fissata in un valore superiore a 1,1; va da sé che tanto maggiore è il valore del DSCR rispetto alla soglia minima di sicurezza, tanto maggiore sarà il grado di soddisfazione dei finanziatori. E infatti tale indice è spesso utilizzato come covenant nei contratti di finanziamento, per cui vengono previsti dei valori soglia che l’azienda deve obbligatoriamente rispettare a pena del rientro anticipato del finanziamento concesso.

Con quale frequenza vanno calcolati i suddetti indici?

Di certo non è sufficiente calcolarli una sola volta all’anno, magari in occasione del bilancio; un’analisi del genere, se mi si consente il paragone, ricorda tanto le persone sovrappeso che si scrivono in palestra a maggio, illudendosi di non sfigurare al fatidico momento della prova costume. Nel documento contenente gli indicatori di allerta per la prevenzione della crisi d’impresa redatto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, si legge che “il calcolo del DSCR si basa necessariamente su dati di tipo previsionale che devono essere predisposti con cadenze più frequenti. Occorre in particolare che il controllo degli indicatori di crisi sia più frequente qualora le condizioni economiche, finanziarie o patrimoniali dell’impresa siano tali da renderlo necessario. Nel caso in cui si utilizzino bilanci non approvati dall’assemblea o bilanci infrannuali, è necessaria una loro approvazione da parte dell’organo amministrativo, o, in mancanza, del responsabile delle scritture contabili”. La periodicità proposta nel documento del CNDCEC è quella della redazione del DSCR (e del rapporto MOL/OF, aggiungo io) almeno ogni tre mesi; “tale valutazione, in assenza di un bilancio approvato, dovrà essere condotta sulla base di una situazione infrannuale, avente natura volontaria, redatta dall’impresa per la valutazione dell’andamento economico e finanziario. Questa, nel rispetto del principio di proporzionalità, potrà essere costituita anche dai soli stato patrimoniale e conto economico, redatti secondo quanto previsto dall’OIC 30 o comunque facendo attenzione alla effettiva rilevanza delle scritture rispetto agli indici fatta salva la necessità di una adeguata valutazione preliminare del patrimonio netto”.

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