Il deposito del bilancio: adempimento o opportunità?

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E allora, anche quest’anno è arrivato il momento di redigere il bilancio.

Per quanto mi riguarda ho già cavalcato la “prima ondata”, che vuol dire che ho predisposto contemporaneamente la mole dei documenti di più aziende, in tempo per la scadenza del 29/4. E ho partecipato a un certo numero di assemblee in cui ho dovuto spiegare i numeri sottoposti all’approvazione dei soci. Parlo ovviamente dei bilanci che scaturiscono dalle contabilità che seguo direttamente nel mio studio; come i miei clienti già sanno, io redigo i bilanci con grande attenzione all’aspetto finanziario della gestione.

A breve sarò impegnato nella predisposizione della “seconda ondata”, quella cioè relativa ai bilanci la cui contabilità viene invece gestita in proprio dal cliente e che, per svariati motivi attinenti “alla struttura e all’oggetto della società”, verranno approvati entro giugno. Sì, insomma quei bilanci le cui contabilità al 30/4 non sono ancora chiuse e per cui bisogna inventarsi qualcosa per far slittare il termine di approvazione da 120 a 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

Ed è a questi ultimi soggetti che rivolgo questo appello.

Allora Signori, Vi ricordo che il bilancio può essere scritto avendo a riferimento due tipi di destinatari:

  1. il Registro delle Imprese “punto e basta”;
  2. le Banche, i clienti, i fornitori, i potenziali nuovi soci e, in generale, tutti quelli che hanno interesse a sapere come vanno i fatti vostri (in inglese: gli stakeholders).

Nel primo caso, è ovvio, il deposito del bilancio consiste in un adempimento fine a sé stesso; in questo caso la “vecchia scuola” sostiene che meno informazioni dai, meglio è. Quindi, secondo i sostenitori di questa tesi, il bilancio va rigorosamente redatto in forma abbreviata, senza relazione sulla gestione, di rendiconto finanziario guai a parlarne. Che tanto il cliente sempre la stessa cifra ti paga. E certo, se tu continui a proporgli sempre la stessa solfa, cosa pretendi? A mio modo di vedere, questa logica oggi ha un senso solo se il cliente è, come dire, particolarmente parsimonioso e poco erudito sulla valenza informativa del bilancio (vabbè, avete capito: tirchio e ignorante). Se è lui a non voler investire nella presentazione al pubblico della sua azienda allora tanto piacere, qualis pagatio talis laboratio, per dirla alla latina.

Discorso diverso vale invece per coloro che nel gestire la propria azienda danno importanza alle lettere A, F e C, ossia Amministrazione, Finanza e Controllo. Se hai gestito bene la tua azienda e l’anno scorso hai avuto buoni risultati, perché non dovresti rappresentarlo correttamente, enfatizzando le tue qualità? Pensi che la banca valuti allo stesso modo uno che dimostra, documenti alla mano, di essere in grado di seguire l’aspetto finanziario e uno che non lo sa fare? Pensi siano uguali uno che è in grado di giustificare i risultati in termini di redditività, solidità e liquidità dell’azienda e uno che neanche scrive la relazione sulla gestione? Sono uguali uno che domina le dinamiche del cash flow attraverso la redazione del rendiconto finanziario e uno che pensa che “è meglio non mettere troppi numeri, che sennò poi le banche mi chiedono spiegazioni”?

E pensa anche ai rapporti commerciali: se il tuo principale fornitore ti deve affidare una partita di merce importante, ti pare che non andrà prima a guardare i numeri del tuo bilancio, per assicurarsi che non fallirai entro un anno? Se il tuo cliente sta per sottoscrivere con te un importante appalto pluriennale, non pensi che voglia essere sicuro che lo porterai a termine?

E cosa andrà a guardare, secondo te, un probabile nuovo socio, prima di mettere denaro nella tua azienda?

Non mi stancherò mai di ripeterlo: il bilancio è il tuo biglietto da visita. E una volta depositato in Camera di Commercio, te lo porterai dietro per un anno. Ricordati, sei tu che decidi il modo in cui gli altri leggeranno i numeri della tua azienda. Fai un investimento su te stesso, scrivi bene il tuo bilancio.

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